mercoledì 4 aprile 2012

FOR THE LOVE OF THE BIG BROTHER

Diamo per scontato che negli ultimi 15 anni il mondo ha registrato un cambiamento forse maggiore rispetto agli ultimi 150 anni. George Orwell nel 1948 scriveva 1984 (traendo il titolo dall'inversione delle ultime due cifre dell'anno della stesura). Sorvolando tutti gli apetti metaforici relativi all'alllora recente esperienza del nazismo, quel libro profetizzava una società in cui ogni secondo della vita di ogni singola persona veniva monitorata e controllata attraverso sofisticatissimi modelli di intersezione sociale governati da un'entità iconica quanto misteriosa chiamata Grande Fratello. Nel mondo di Orwell le persone comunicavano tra di loro attraverso la Neolingua. E la Neolingua era distinta da quasi tutte le altre lingue dal fatto che il suo vocabolario diventava ogni giorno più sottile invece di diventare più spesso. Probabilmente per i lettori del libro negli anni '50, ma anche per quelli che, come me, lo hanno scoperto in parallelo con l'uscita dell'omonimo film di Michael Radford (nel 1984), quel futuro così iperbolico era semplicemente frutto di un genio narrativo allucinato. Materia onirica. Profezia plausibile quanto l'invasione dgli ultracorpi. E nel 1984 in effetti era ancora così. Non avevamo neppure CD e cellulari, figuriamoci se potevamo pensare a strumenti che permettessero anche solo di comunicare guardandoci in faccia e dai quattro angoli del pianeta. Bastava solo aspettare. Neppure tanto. Circa 13 anni. Nel 1997 infatti eravamo già tutti muniti di cellulare, di personal computer e di webcam che ci permettevano, su larga scala, di rivoluzionare il nostro mondo delle relazioni sociali. Nel 1997 nasceva Six Degrees (il primo social network per come lo intendiamo oggi). Sempre nel 1997 la televisione italiana mandava in onda il primo reality show (si chiamava Milano-Roma e metteva due personaggi noti in auto registrando le loro conversazioni mentre attraversavano l'Italia). Tre anni più tardi la normalità delle persone diventava spettacolo in tv ogni giorno, 24 ore su 24, attraverso la nascita, fra mille polemiche velocemente metabolizzate, di "Grande Fratello". Non solo. Molti di noi facevano il percorso contrario creando il proprio personale reality show attraverso le videochat o poco più tardi caricando i propri video su Youtube. E sia in un verso, sia nell'altro, ognuno di noi si è guadagnato una identità di personaggio pubblico dove ci sta dentro di tutto: dal lavoro alla cucina, dal tempo libero al sesso. Rispetto a quanto descritto da Orwell la differenza è sicuramente un mondo meno cupo e un Grande Fratello che è molto più silenzioso e che, per il momento, si limita a monitorare i nostri consumi per operazioni di marketing. O ad arginare (abbastanza male) eventuali comportamenti illegali. Per il resto c'è tutto, il suo contrario e anche quello che sta fra i due opposti. Compresa la Neolingua. Parliamo moltissimo, parliamo di tutto e lo facciamo molto più velocemente. E tra un k un X, un lol e un roftl, una emoticon e lo sdoganamento definitivo del turpiloquio, il vocabolario si sta rapidamente assottigliando. Causa ed effetto dell'evoluzione dei contesti a cui il Grande Fratello (il Dio di Facebook e dei Passerotti) ha dato una brusca accelerata. Ci si dà tutti del tu, indipendentemente da classe sociale, età o gerarchie. Probabilmente l'Accademia della Crusca rispetto a questo impoverimento della lingua sta manifestando evidenti segni di malessere, e lo vede come un sostanziale sintomo di degrado sociale. Io onestamente non sono d'accordo. Mi preoccupa, se vogliamo, molto di più l'italianizzazione dell'inglese per cui ora tutti implementiamo, briffiamo o daunlodiamo. Ma anche in questo caso trovo molto più conveniente adattarmi all'evoluzione piuttosto che correre il rischio di trovarmi in men che non si dica ai margini della società. E onestamente se questo è il prezzo per poter comunicare meglio e di più con i miei amici come con Obama o Madonna, credo che il gioco valga la candela. Ciò che preoccupa (è una mia caratteristica cercare di vedere sempre il lato oscuro della luna) è altro. Mi riferisco alla perdita del "senso di confine" e prima ancora della consapevolezza dell'esistenza dei confini. Mi spiego meglio. Una volta le persone tornavano dal lavoro, chiudevano la porta di casa e tutto quello che succedeva da li in poi era un fatto esclusivamente privato e inaccessibile. Oggi le persone tornano dal lavoro, chiudono la porta di casa e potenzialmente trovano una folla nel salotto. Disponibile e morbosamente curiosa di conoscere ogni aspetto della loro vita de-privata. Una folla che tramite il proprio consenso o dissenso può giudicare e forse modificare o manipolare. Vale per aspetti quali l'opportunità della depilazione intima o le abitudini alimentari. Vale anche per le opinioni politiche, le propensioni culturali e il sistema di valori in generale. Conosco persone che tengono costantemente una o più webcam attivate in casa in modo da essere costantemente osservate in ogni singolo momento della giornata. So di un fenomeno chiamato hikikomori (letteralmente mi ritiro) che porta i ragazzi a escludere qualsiasi relazione con il mondo che non sia mediata da un pc: quasi una paradossale clausura all'interno di uno stadio traboccante di persone. Ma anche senza arrivare a questi estremi, i più arrivano a casa, si piazzano davanti alla tv per guardare la vita banale e nullafacente dei ragazzi del Grande Fratello o dei finti famosi su un'isola tropicale, e, una volta finita la trasmissione, accendono la webcam del proprio pc dando così vita al proprio personalissimo Grande Fratello Home Edition. Per quanto mi riguarda io lo faccio anche un po' di più rispetto alla media italiana non essendo interessato ai reality show. Giusto? Sbagliato? Sano? Patologico? Non saprei. Da una parte continuo a ripetermi che se il mondo sta cambiando possiamo filosofeggiarci intorno quanto vogliamo ma lui cambia lo stesso. Dall'altra, se mi fermo a guardare con un minimo di distanza la mia faccia statica, pallida e bluastra (anche il 15 di agosto) riprodotta da milioni di pixel sullo schermo del mio PC, sento un leggero brivido d'inquietudine correre lungo la schiena. Mi chiedo se non hanno ragione certe tribu che non si fanno fotografare perchè sono convinti che la fotografia rubi l'anima. Mi rispondo che se anche avessero ragione, nel mio caso è già tardi. E vado a dormire sperando che me ne sia rimasta a sufficienza per il prossimo show.

1 commento:

  1. ma che bello! che bello questo post, che bello il blog, che bello pensare e riuscire a fare di qualche pensiero una possibilità. rispetto a tutti questi temi, mi sento frontaliera, mi muovo nella foresta che nasconde il mondo nuovo al mondo vecchio, spiando tra i cespugli, ogni tanto muovendo un doppio passo in radura, per fuggire subito indietro. condivido, ma non so se voglio. grazie, pier.

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