domenica 27 gennaio 2013

HABEMUS PAPAM?

Uno dei territori più accidentati della comunicazione riguarda sicuramente le gerarchia ecclesiastica. Che da sempre, ma con il pontificato di Benedetto XVII più che mai, parla alla gente. Per essere guida spirituale e morale, fonte di speranza e messaggio di fede. Ma lo fa a distanza di sicurezza, da un balcone la domenica mattina. Lo fa marcando le distanze, riportando cioè la parola di Dio e che nessuno osi controbatterla. Di fatto oggi credo non vi sia nessuna persona al mondo (i credenti mi scuseranno se ne parlo come “persona”) che possa essere percepita più inarrivabile e irraggiungibile del Papa. E di conseguenza mai come oggi, anche a causa di scandali non propriamente “veniali”, la società laica vuole risposte dalla chiesa. Allora che si fa? Semplice: mettiamo il Papa su Twitter! Gli togliamo un po’ di paramenti e lo diamo in pasto al dialogo, diretto e in sei lingue, con la gente comune. Una svolta epocale. Un evento della portata di un nuovo Concilio Vaticano a colpi di 140 caratteri a botta. Un conto alla rovescia febbrile: documentato dai media, giorno dopo giorno, con notizie, immagini e indiscrezioni. E’ ovvio che anche il gesto più banale per chiunque, se compiuto da una persona per cui anche le abitudini alimentari sono un fatto di stato, diventa immediatamente di portata planetaria. E in questo crescendo di attesa, si arriva alla mattina del 12 dicembre, momento in cui dall’I-Pad pontificio parte il primo attesissimo messaggio. “Cari amici, è con gioia che mi unisco a voi via twitter. Grazie per la vostra generosa risposta. Vi benedico tutti di cuore”. Lascia un certo sgomento: in dieci giorni non si poteva pensare a qualcosa di leggermente più “pregnante”? Sarebbe bastato anche un “se sbaglio mi corrigerete”. Pone dubbi sulla sua autenticità (anche se non credo vi sia persona al mondo che immagini Joseph Ratzinger in persona a “fare quattro chiacchiere con l’umanità”). Ottiene un botta e risposta, con punte di pessimo gusto inaudite, fra coloro che ritengono che comunque la sola presenza di Sua Santità su Twitter basti e avanzi e i molti altri che invece non vedono l’ora di sganciare la loro personalissima bomba sulla santa sede. Una commedia dai toni davvero poco edificanti che dal 12 dicembre si replica a frequenza trisettimanale sulle frequenze social di Benedetto XVI. Naturalmente non sono qui a stabilire chi ha torto e chi ha ragione. Mi limito ad essere spettatore silente del fenomeno dal momento in cui non penso che l’essere laico e non credente basti a legittimare una corsa all’insulto gratuito e alla bestemmia. Però, in qualche modo, il seguire le benedizioni papali on-line mi ha insegnato qualche cosa sul mezzo. Twitter, nella fattispecie. Che è chiaramente specchio della realtà. E quindi non toglie le distanze che non sono state rimosse precedentemente ma semmai le fa sembrare ancora più ampie e invalicabili. Che se le porte sono chiuse nella realtà fisica lo rimangono, e a doppia mandata, anche in quella dei social media. Che se le porte rimangono chiuse il dialogo è uno sterile chiacchiericcio tra sordi. E che puoi essere anche il Papa, ma se non sai, o nessuno ti ha insegnato, a parlare ad “altezza occhi” forse è meglio continuare con il format collaudato del balcone. Evitando così alla “tua gente” la gran fatica di rispondere al posto tuo agli insulti che, seppur deprecabili, bombardano la loro dignità spirituale. E non permettendo comunque agli altri, anche quelli come me, di farti le moltissime domande che vorrebbero. Perché hanno la certezza quasi matematica che non otterrebbero alcuna risposta se non una generica benedizione qualche giorno più in la. Per me più misteriosa della fede che non ho.