martedì 11 settembre 2012

IL CURIOSO CASO DI BILLY IL BUGIARDO E LILLI LA ROSSA.

Parto da Billy. Non per sciocchi corporativismi maschilisti ma perchè sulla rete mi è capitato di vedere il suo discorso alla Democrats National Convention cinque giorni fa. Si, parlo di Bill Clinton, l'ex presidente che ha rischiato di diventare ex anzitempo per non aver saputo tenere su la zip con una stagista peraltro assai bruttina. E che, beccato dal mondo intero, ha reagito con il classico "non è come tu pensi". Accreditandosi così come bugiardo fedifrago su scala globale. Bene. Sarà pure un fedifrago, ma è un comunicatore eccellente. E in questa occasione lo dimostra ampiamente, provando una volta di più che l'efficacia del saper parlare in pubblico non è solo questione di posture e di manualetti di autoformazione in 10 passi. Del discorso del buon vecchio Bill, aldilà del dare per scontata la "proprietà" dell'argomento, dello sorytelling e tutte le regole base del public speaking, colpisce il suo essere "genuino". Nel senso che "sente", e profondamente quello che dice. E' lui il primo ad essere appassionato. Si comporta, in grande stile ovviamente, come chiunque di noi quando è chiamato ad affrontare un argomento a cui tiene con persone che reputa importanti. Quelle occasioni in cui, con queste premesse, chiunque di noi sa essere spontaneamente efficace, coinvolgente e convincente. E naturalmente agli antipodi rispetto a certe dinamiche puramente "seduttive" che, mi spiace per chi ha speso molti quattrini per apprenderle, non seducono più proprio nessuno. Poi Speaking Bill è "democratico", nel senso che parla da cittadino ai cittadini e da cittadino impegnato. Qualcuno in cui chiunque può o, se non può desidera, rispecchiarsi. Senza alcun bisogno di "casacche". E questo gli consente, oltre che di essere diretto, di essere credibile, laddove il ruolo, nella comunicazione politica come in quella aziendale, delimita un perimetro organizzativo e di competenza ma non è più garante di soggezione d’ascolto passivo. E’ inoltre educato e rispettoso e – mi si permetta – non sono due frivoli attributi da manuale di bon ton. Sono il segnale di un mondo che è cambiato. Che alla “vis polemica” del duello contrappone la forza dell’affermazione dei propri contenuti. Non è un caso che a Milano, il colpo basso inferto a Pisapia da Letizia Moratti nel dibattito televisivo abbia contribuito considerevolmente e senza possibiltà di recupero alla disfatta elettorale della medesima. Inoltre e infine, il buon vecchio Bill, è “gestaltico”. Fa emergere un tema dallo sfondo, lo porta in figura e lo affronta quasi parlando con il tema stesso. Non nascondendo, ma anzi amplificando le risonanze emotive. Poi lascia che la figura ritorni sullo sfondo per permettere al tema successivo di rendersi percepibile. E in virtù di ciò riesce ad essere empatico. Osservando la reazione del pubblico è più che evidente che gli applausi non sono un segno di entusiasta ammirazione. Sono un chiaro segnale di condivisione, anche emotiva, nell’ambito di una relazione profonda. Certo in parte è questione di carisma (e questo non si impara). Ma molto probabilmente è anche saper fare di necessità virtù. E in questo Billy è stato grande. La prova? Basta andare a vedere (sempre su YouTube) la rigidità impacciata ed "evitante" con cui il fedifrago Bill dichiarava pubblicamente di non aver mai avuto rapporti sessuali con la signorina Lewinsky.
Ora, facciamo un viaggio nello spazio (nel senso che torniamo in Italia) e nel tempo (fermandoci agli anni '80). Allora c'era una giovane giornalista televisiva altoatesina. Si chiamava Dietlinde Gruber, o, più semplicement,e Lilli. Intelligente, acuta, bella. Tanto che, in quegli anni, viene chiamata a testimoniare i fatti che sarebbero entrati nei libri di storia. Cose come la caduta del muro di Berlino o la guerra del Golfo. Ma non sarà quello e neppure la successiva carriera politica ciò per cui Lilli viene, dai più, ricordata. La sua icona è il mezzobusto con il braccio appoggiato sulla scrivania a protendere il corpo verso il pubblico catodico. Il tono di voce assertivo e autorevole, punteggiato da leggeri movimenti del mento. Lo sguardo fisso negli occhi di milioni di persone. Un'emotività assolutamente controllata. Un look impeccabile (per l'epoca si intende: oggi sarebbe tra l'eccessivo e il fetish). Uno stile di comunicazione algido, decisamente "dall'alto verso il basso", e in quanto tale fatalmente seduttivo. Questo è stato sufficiente a imporre la rossa Lilli come calco sul quale modellare la teoria del "public speaking" all'italiana. Anche per coloro, gli uomini di azienda appunto, che non potevano puntare su smottamenti ormonali appoggiando garbatamente e di lato il busto sulla scrivania. Un modello sopravvissuto fino ad oggi, nonostante la rossa Lilli abbia cambiato registro, gonfiato le labbra a dismisura e da "giornalista dei fatti che cambiano la storia" sia diventata "giornalista e basta". Peraltro controversa. Visto che nella sua pagina Facebook (sulla quale lei non interviene mai, e viene il legittimo dubbio di chiedersi a cosa serva) vi sono solo post promozionali del suo talk show, commentati con frasi del tipo "dove hai comprato gli orecchini?" o "la sua intervista a Favia è disgustosa". Commenti ovviamente non replicati. Al contrario, Billy ha un profilo Facebook intitolato "Bill Clinton Back to Work". Una foto con un sorriso da vicino di casa che ti saluta dalla porta, e poi naturalmente grandi argomenti che animano dibattiti che arrivano fino in Cina. Certo, il paragone è azzardato e paradossale. E' ovvio che passa alla storia chi ne è protagonista, non chi si limita a testimoniarla. Ma noi stiamo parlando di comunicazione, mica di chi è stato più bravo a cambiare il mondo. E visto che insieme al mondo, evidentemente cambia anche il mondo della comunicazione non sarebbe il caso di fare qualche aggiornamento? Fosse anche cominciando dai modelli di riferimento per i manuali e i corsi di public speaking.