Ho letto l’ennesimo testo sulla comunicazione
social e visto che ancora una volta di acqua calda si parlava tanto varrebbe
recuperare il manuale del boiler: perlomeno non si va oltre le 30 pagine di cui
solo due veramente utili. Ancora una volta, secondo
questi nuovi guru, la comunicazione delle aziende su Facebook e compagni deve
essere personale, autentica e pregna di contenuti “di valore”. Dovrebbe usare un linguaggio confidenziale,
dialettico e aperto. Esattamente come fanno le persone sui loro profili e
coerentemente con quella che è la natura del mezzo. Ovvero mettere in contatto le
persone, ampliare le loro reti sociali e, più in generale, “nutrire le relazioni”. Ma, andando a scorrere le varie pagine del
libro delle facce o il rullo dei cinguettii, possiamo dire che oggi è ancora
così? Se parto da me e da buona parte dei miei “amici” direi proprio di si. Per
me Facebook è ancora un mezzo in cui mi racconto, mi metto a confronto con le
persone che conosco e, anzi, mi permette di dare una quotidianità a molte
relazioni che, per questioni di tempo o di distanza fisica non potrei mai
coltivare nella cosiddetta vita reale. Ma io da sempre faccio poca tendenza. Nel
corso dell’ultimo anno ho infatti notato un trend perlomeno stravagante. Non solo riguardo alle
tematiche che ogni giorno riempiono le cronache dei media (cyber-bullismo,
linguaggio violento ecc. ecc.). Non che non siano preoccupanti, ma sicuramente
non mi sorprendono. Ci sono sempre
state. Nelle scuole, nei posti di lavoro, per le strade. E dal mio punto di
vista il fatto che abbiano cambiato sede ne aumenta solo marginalmente la
gravità. Non mi stupisce neppure l’arroganza, il turpiloquio o l’estremismo
di alcune posizioni. Dato che credo che tutto ciò faccia parte della cosiddetta
libertà d’espressione e che l’importante semmai è che ognuno si prenda la
responsabilità di ciò che dice. La televisione in fondo sa essere anche molto
peggio. Quello che invece mi stupisce è la folle e stralunata compulsività con
cui molte persone (a partire da quelle celebri) gestiscono il dialogo. Mi
spiego meglio. Anzi, per spiegarmi prendo a prestito un post di Michele Dalai
pubblicato qualche giorno fa. Dice “Se ti sei fotografato i piedi in mare dieci
minuti prima il tuo tweet sulle stragi in Egitto perde un po' di intensità, non
trovi?”. Una sintesi perfetta. Che, chiariamoci, se ti chiami Belen Rodriguez
ci può pure stare. Ma se sei uno normale perché lo fai? Forse per ansia di
protagonismo? Per narcisismo? Perché lo fa Selvaggia Lucarelli e c’ha costruito
una carriera? Per dimostrare che bellezza e tragedia possono andare mano nella
mano? Se le motivazioni sono queste non mi preoccupo. Perché è un teatrino, non
è reale e ognuno si diverta come vuole e come può. Purtroppo il buon gusto, lo
abbiamo imparato da tempo, non è da tutti. Ma se invece ciò riflette
autenticamente la persona, la sua emotività e il suo modo di portare se stesso
all’esterno, direi che la situazione si fa preoccupante. Ed è proprio questione
di tempi, di quei dieci minuti che passano, metabolizzano e sciolgono velocemente
lo sbigottimento, il dolore e lo sconcerto nell’ansia del mostrare i piedi a
bagno nel mare. E in quei dieci minuti così bipolari il nuovo nega il
precedente. Come il bulimico che si abbuffa per vomitare subito dopo. Come un
funerale in discoteca. A questo punto vale la pena di dare una dimensione a
questo fenomeno. Che vorrei poter dire limitata. Nella rete dei miei contatti
(poco più di 600), infatti, le persone
di questo tipo sono davvero pochissime. Ma oggi, per caso, mi è capitato di
andare sulla pagina di Vice. Una rivista adolescenzial-alternativa che si
definisce “la guida definitiva all’informazione illuminante”. Sulla sua pagina FB nel giro di tre ore sono apparsi post riguardanti: l’assunzione come
giornalista della figlia del fondatore della Chiesa di Satana, le scarpe Vans,
il suicidio (con tanto di foto del cadavere) di un artista concettuale, il
mercato di armi in cambio di rifugiati tra Israele e Uganda e una galleria
infinita di bizzarrie sessuali “al limite”. Roba per Nerd un po’ disturbati?
Forse. Ma sono 1.444.000. Onestamente, giusto per tornare al tema dell’inizio,
se anche le aziende, sui social media, usano quindi un linguaggio un po’ troppo
freddo, impersonale e artificiale va bene così. Intanto comincino a prendere
confidenza con il concetto di dialogo, poi si vedrà. Perché un conto è metterci
la faccia. Un conto è perderla. Ed è già successo.