lunedì 18 marzo 2013

LE MEZZE PAROLE

...come le mezze stagioni non esistono più. Al loro posto parole piene e tonanti. Decisive e pesanti come massi dal cielo. Unico imperativo, la sintetica aggregazione in 140 caratteri o poco più. Che non sarebbe mica male se, per tagliare corto, non aprissero la strada al più trionfale dei disumani pressapochismi. E alla stupidità. Non che prima dell’era di Twitter e Facebook non esistessero. Confermo la mia convinzione che non sia il contenitore a creare il contenuto. Ma a modificarne la portata si. E quindi quelli che prima erano viottoli dispersi tra i discorsi di prima mattina sui pianerottoli dei condomini e la pipì del cane adesso sono enormi autostrade senza pedaggio, limite di velocità e corsia d’emergenza. Andiamo nel concreto. Un paio di settimane fa Daria Bignardi intervista una certa Giusy Versace. Dico una certa perché i cugini e i cugini dei cugini delle celebrità sono dei “signori nessuno”, come me. Ma Giusy non è come me. E’ molto più giovane. Ha avuto un incidente d’auto. Ha perso entrambe le gambe. Dopo una lunga riabilitazione è riuscita a conquistare la cosiddetta “normalità”. E l’ha pure superata riuscendo a diventare atleta di livello internazionale. Un paio di settimane fa la barbarica Bignardi la intervista in TV. Poi Ivan Scalfarotto ne parla all’interno del suo blog. Successivamente la Bignardi riprende all’interno del suo blog il post di Scalfarotto. A fianco, in mezzo e in sorpasso, tonnellate di commenti e di commenti ai commenti. 37 al post di Scalfarotto. 39 alla Bignardi. Più qualche quintalata di cinguettii, condivisioni sul libro delle facce ecc. E il coro commentante Scalfarotto decreta che “una che si chiama Versace non ha certo problemi a comprarsi costosissime e tecnologiche protesi, mentre una persona comune deve magari attendere sei mesi per una mammografia”. Il coro barbarico è, ironia della sorte, più equilibrato. Trabocca solidarietà. Ma anche qualche inserzione pubblicitaria, del tipo “ne approfitto per parlare della procreazione medicalmente assistita”, o “io la famiglia Versace la conosco bene e so questo, quello e qualcosa d’altro”. Su Twitter diventa pure un’occasione per parlare delle labbra siliconate della platinata e modaiola Donatella. La sintesi in 117 caratteri potrebbe essere ““Giusy Versace, poverina ma stronza, ha perso le gambe ma essendo ricca e ”parente”, va in tv mentre noi stiamo qui a lottare con la pagnotta”. Una bella lezione di civiltà. Di moralismo. E di idiozia. La mia, ovviamente, che non riesco a mettere in connessione lo status di “poverina” e di “stronza”. Che non riesco a cogliere che se uno ha un bel conto in banca l’amputazione di entrambe le gambe sono, tutto sommato, un fastidiuccio accettabile. Ma d’altra parte che cosa può sapere uno che come me, non ha accesso alla maison Versace e ai suoi succulenti segreti? Non (mi) basta. Dal momento che Scalfarotto, prima di essere opinion leader, blogger di successo e ora neoeletto deputato, è un paladino della diversità con particolare riferimento alle istanze della comunità gay. Da cui deduco che gran parte di chi lo segue e lo commenta dovrebbe avere una certa dimestichezza con le tematiche sociali. E capire che chiamarsi Versace e non dover patire discriminazioni omofobiche non è la stessa cosa che chiamarsi con qualsiasi nome e perdere le gambe tra le lamiere di un’auto accartocciata. Ma forse sono io che non capisco. No non capisco. Così come non capisco le santificazioni e maledizioni tracimate su Papa Francesco a 15 secondi della nomina. O quelle sulla Boldrini, sempre a pochi secondi dall’elezione. Credo fossero pochi a conoscerla prima di oggi. Però dalla faccia si vede subito che è “un’altra mantenuta”, la “solita raccomandata di sinistra”, “era meglio la Santanché”. Mi rendo conto che la libertà d’opinione, come tutte le libertà, sia difficile da gestire se non ci si è abituati. Ma così, l’opinione come la libertà ad essa legata, la si uccide. Perché non è che le parole sparate a 140 caratteri su una pista di velocità abbiano meno peso. Anzi, diventano proiettili. Esplosi qua e la senza una direzione ben precisa se non quella, ben poco edificante, del puro narcisismo e del parlare perché qualcosa bisogna pur dire. Che ben lungi dall’essere libertà è solo manifestazione selvaggia di irresponsabile qualunquismo. Pericoloso, molto prima di essere sterile.