lunedì 19 marzo 2012

DEMOCRAZIA CINESE

Premetto che amo i social network. Sono un modo facile, comodo ed efficace per restare connesso con il mio mondo. Per dare e ricevere ai miei amici quella quotidianità che, distanze geografiche, impegni o - talvolta - pigrizia non mi permetterebbero di coltivare. Sui social network condivido le mie opinioni, una canzone, il mio impegno politico e sociale e molte altre cose. A volte - raramente - conosco pure nuove persone. Dico raramente perchè non sono uno che "vive" di social networking. Sono ancora, temo anche per questioni generazionali, tra quelli che poi le persone le vuole conoscere davvero. Nella vita reale, intendo. E quindi, non sono tra quelli che s'innamorano, si incontrano e si separano via twitter. Diciamo che dedico a questi mezzi una fetta del tempo libero. Sono una possibilità in più, a volte un gioco (vivaddio), a volte qualcosa di più serio, altre ancora qualcosa che sta nel mezzo. Naturalmente mi astengo da ogni giudizio su chi, per motivazioni varie, dà a questi mezzi un valore più importante di quanto faccia io. Sono fatti suoi. Detto questo, chi mi conosce sa quanto io ami leggere e, nella lettura, quanto ritenga stimolante la provocazione e la satira. Mi piacciono le sommosse in punta di penna e le persone che, come Michele Serra, le sanno magistralmente agitare. Qui arriviamo al fatto. Michele Serra, steso sulla sua amaca, ci racconta che, guardando la tv con un amico, osserva la maniera in cui quest'ultimo, quasi in diretta, commenta a ritmo serratissimo su Twitter ogni singola battuta del programma. Quasi creando un programma nel programma. Ma quello che più colpisce Michele non è tanto il meccanismo del botta e risposta in 140 caratteri, ma la veemenza e la violenza verbale dei messaggi. O bianco o nero. Pollice su o giu. Un continuo bungee jumping tra opposte drasticità. Per alcuni il conduttore è un genio, per altri un coglione totale. Nessun territorio intermedio. E Michele, con la spigolosità un po' surreale e iconoclasta che gli è propria conclude il pezzo dicendo "Se dovessi twittare il concetto direi: Twitter mi fa schifo. Fortuna che non twitto...". Si, è vero. Non ci va giu leggero (d'altra parte non lo fa mai e chi lo ama lo ama proprio per questo). Ma non è nè il primo, nè il solo ad essere diffidente rispetto al popolo cinguettante. Già un paio di mesi fa e, con un tono decisamente meno ironico, Massimo Gramellini dalle pagine della Stampa lamentava la sostanziale "perdita" di alcuni colleghi "curvi sul cellulare, con i pollici a forma di sogliola, per digitare ossessivamente dieci, cento, mille tweet". Per quanto mi riguarda, mi è successo spesso, di trovarmi a cena con amici completamente estraniati da ogni forma di conversazione e assorbiti da "nevrosi cinguettante". Una volta mi è capitato pure di sentirmi dire, nel vano tentativo di richiamare l'attenzione di un commensale passerotto "scusami, non me ne frega un cazzo di ciò che state dicendo". Per fortuna con la maturità riesco a gestire efficacemente la mia aggressività. Ma tornando a Michele, credo fosse chiara la provocazione del "se dovessi twittare direi twitter mi fa schifo" (che usa lo stesso linguaggio senza mezze misure degli aggressivissimi passerotti). Ma avrebbe potuto anche dire semplicemente "a me twitter fa schifo". D'altra parte un sacco di gente dice che "i giornali fanno schifo", che "la tv è spazzatura" ecc. ecc. Che è ben diverso dal dire "i giornalisti sono persone ignobili" o i "conduttori tv sono braccia rubate all'agricoltura". Nessuno comunque ha niente da obiettare. Ma quando si tocca Twitter è diverso. Il popolo dei passerotti da combattimento si leva in volo e in men che non si dica il malcapitato disallineato si trova letteralemente lapidato sulla pubblica piazza. "Generalizzare senza conoscere e dal pulpito è superficialità". "Michele Serra scrive pezzi da venti righe ma nessuno gli ha mai detto che sono troppo corti o superficiali anche quando lo sono". "Twitter logora chi non ce l'ha". E così via in un crescendo di veemenza. Un dato è chiaro. Su Twitter la dissidenza non è gradita. E chi dissente deve essere giustiziato "per direttissima" e senza possibilità d'appello. Io stesso, che ho provato timidamente a controbattere, semplicemente per capire meglio, sono stato messo davanti a un "o dentro, o fuori" e ho perso circa una decina di follower in pochi minuti. Pazienza. Per i follower persi, intendo. E mi rendo conto che si, forse Michele Serra ha sbagliato. Nel prendersela con il mezzo. Che non fa schifo, è semplicemente quello che è. Una scatola vuota. Il problema sono le cose che mettiamo nella scatola. Possono essere cazzate, "minima inutilia", notizie in tempo reale o stati d'animo fissati in istantanee destinate a durare giusto il tempo di un cinguettio. Questa volta il popolo twitterante ha scelto la fede cieca, il dogma, la "resistenza talebana" nel nome del Grande Passerotto. Paradossale perchè nasce proprio nel luogo della "democrazia della parola". Segno preoccupante del fatto che se "si lascia che la gente creda di governare sarà governata". Ma queste parole venivano da un quacchero del seicento. Si chiamava William Penn ed ha fondato la Pennsylvania. Ma forse aveva già in mente Twitter.

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